lunedì 5 marzo 2007

"La Patente" di L. Pirandello



Luigi Pirandello

“La patente” (1917)

Il giudice D’Andrea è un uomo sui quarant’anni, molto preciso e puntuale. Da una settimana però, era preoccupato per un certo processo davvero strano. Infatti, un uomo di nome Chiarchiaro, riconosciuto in tutto il paese come jettatore, aveva accusato come diffamatori due giovani perché lo credevano iettatore, ma subito dopo aveva richiesto una patente, un documento insomma, che attestasse la sua, effettiva, capacità di jettatore. Il giudice D’Andrea non credeva che Chiarchiaro fosse uno jettatore e trovava ancora più ridicola questa storia della patente. Infatti, Chiarchiaro si contraddiceva denunciando prima i due giovani e subito dopo richiedendo questo ridicolo attestato di iettatore. Chiarchiaro voleva, infatti, sfruttare quella che ormai era la sua fama di jettatore, ricattando le persone del paese. L’opera teatrale , in un unico atto, è uno dei più originali e grotteschi atti di ribellione di un personaggio pirandelliano contro le ingiustizie della società. Pirandello mette in evidenza la tragica situazione in cui viene a trovarsi un poveretto bollato dalla società col marchio di “jettatore”: è odiato e sfuggito da tutti, chi lo incontra fa dei debiti scongiuri e così perde il lavoro ed è ridotto alla fame.

Questa è la situazione del protagonista, Rosario Chiarchiaro; tuttavia lui non subisce, non si piega e invece di negare l’infame calunnia fa ogni sforzo per convalidarla.

Il divertito umorismo di Pirandello sulla paura della jella e sulla reazione, a suo modo ironica, tragica e comica al contempo, del singolare protagonista, crea un grottesco di alta qualità.

CONSIDERAZIONI

Ci sono molti modi di uccidere un uomo. I più facili di tutti: lo si pugnala, gli si spara, lo si avvelena
C
è poi un modo più sottile, lungo, sistematico. Lo si priva di se stesso, gli si nega la sua identità, e poi, poco per volta, si calpesta anche la dignità di essere uomo. È quanto accade a Rosario Chiàrchiaro, protagonista dellatto unico di Luigi Pirandello, La patente, tratto dallomonima novella. Si tratta di una scrittura che racchiude in sé tutti gli elementi più tipici delluniverso pirandelliano. In essa troviamo il tema della maschera forzatamente imposta, limpossibilità di porsi agli altri per ciò che si è, il rifiuto da parte degli altri e la condanna ad unemarginazione che sempre più assume i contorni della morte civile.

La vicenda è nota. Chiàrchiaro, ingiustamente accusato da tutti di essere iettatore, perde il lavoro e si ritrova in miseria con una famiglia sulle spalle e un intero paese che lo sfugge come un appestato. Al culmine della disperazione, si decide per una soluzione che ha in sé tutto il sapore del paradosso pirandelliano: non solo accetterà il ruolo di iettatore, ma ne farà la propria fortuna, ricavandone una fonte inesauribile di sostentamento.

Per far questo, cè bisogno di convincere il giudice istruttore DAndrea a istruire un processo nato da una querela per diffamazione che Chiàrchiaro ha mosso contro due personaggi di spicco del paese, colpevoli, per così dire, di aver fatto pubblici e scurrili scongiuri al suo passaggio. DAndrea, uomo onesto e dotato di una forte pietà (anchessa tutta pirandelliana, la pietà di Pirandello per i suoi personaggi), vorrebbe dapprima risparmiare a Chiàrchiaro il ridicolo che inevitabilmente gli deriverebbe dal processo, ma ciò perché egli stesso è inizialmente ignaro dei disegni del protagonista. Il piano di Chiàrchiaro è semplice e geniale al tempo stesso: perdere appositamente il processo, far risultare stricto iure infondata laccusa di diffamazione mossa ai suoi avversari, essere dichiarato quindi iettatore anche dal tribunale legale e, in nome di questa "patente" ufficialmente rilasciatagli, esigere una sorta di tassa da tutti gli abitanti del paese, i quali saranno ben felici di pagare pur di evitare la malasorte.

A differenza della novella, dove gli unici personaggi sono il DAndrea e il Chiàrchiaro, latto unico presenta, per scelta dellautore e probabilmente anche per esigenze di compagnie, una serie di comprimari: dal superstizioso usciere Marranca, ai tre giudici colleghi di DAndrea, alla figlia di Chiàrchiaro, Rosinella.
Questi personaggi, a mano a mano che si presentano, assolvono ad una duplice funzione: in primo luogo essi offrono, in modi diversi, la misura del giudice D
Andrea. Marranca ne fa emergere tutto laspetto severamente istituzionale, con qualche tratto di sentimento umano "Vi proibisco di manifestare così, davanti a me, la vostra bestialità, a danno di un poveruomo", gli urlerà DAndrea vedendolo fare gli scongiuri al solo nome del Chiàrchiaro. I colleghi magistrati offriranno lo spunto per una serie di digressioni filosofiche del DAndrea, commiste al senso di pietà che andrà facendosi via via più forte, mentre il colloquio tra il giudice e Rosinella accentuerà ancora di più la fortissima umanità del primo. Ma sè detto che la funzione dei comprimari è duplice. Essi costituiscono una sorta di propedeutica allentrata in scena di Chiàrchiaro, ne forniscono un ritratto anticipatore che ha il pregio di cogliere la figura del protagonista da diverse angolazioni. Innanzitutto, lo ripetiamo, quella ingenuamente superstiziosa e rozzamente popolare di Marranca; poi quella dei tre giudici, dai quali ci si aspetterebbe un atteggiamento più illuminato e che invece si adeguano al punto di vista del paese ("E dovreste proprio voi rendere giustizia a questo disgraziato", li rimprovererà amichevolmente DAndrea); infine vi è il punto di vista di Rosinella, la figlia amorevole che esprime unaltra pietà, diversa da quella di DAndrea perché dettata dallamore filiale.

A coronamento di tutto, Pirandello chiude la stesura dellatto unico con un altro elemento innovatore rispetto alla novella: la morte del cardellino di DAndrea, animaletto innocente che il giudice tiene sempre con sé perché è lunico ricordo della madre morta da poco; ironia della sorte, in presenza di Chiàrchiaro un colpo di vento farà cadere la gabbiola in cui lanimale sta racchiuso, provocandone la morte. I colleghi di DAndrea e Marranca, accorsi al frastuono, saranno ben felici di dare a Chiàrchiaro quanto hanno in tasca per sfuggire alle sue minacce di morte: "Ma che vento!, Che vetrata! Sono stato io! Non voleva crederci e glienho dato la prova! E come è morto quel cardellino, così, a uno a uno, morirete tutti! "

Sarà linevitabile ed efficacissima conclusione pirandelliana: Chiàrchiaro, innocente, dovrà indossare volontariamente la maschera dello iettatore, rinchiudendosi così in un ruolo non suo, accettando unidentità che non gli appartiene e portando fino allestremo il processo di spersonalizzazione che tutti i personaggi pirandelliani finiscono col vivere. Né ciò toglie efficacia alla scrittura. Al contrario: il paradosso, reso in maniera così forte ed esplicita, così violenta, è accentuato in modo felicissimo dal finale, in cui il riso amaro, il famoso sentimento del contrario, attributo che Pirandello stesso dava al concetto di umorismo, appare irrefrenabile sulla bocca di Chiàrchiaro che si rivolge al DAndrea tenendo in mano i soldi delle prime "riscossioni" appena effettuate: "Ha visto? E non ho ancora la patente! Istruisca il processo! Sono ricco! Sono ricco!

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